TRADIZIONE ORALE ( a cura di Guido Ferretti ) - pag. 8

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      Ogni squadra di minatori operante sul fronte (avanzamento) del tunnel copriva tutti i ruoli richiesti.
      Vi erano minatori impegnati alle perforatrici che dovevano eseguire i fori per le cariche esplosive (le mine). I fori erano inclinati e distanziati in modo tale da ottenere il miglior effetto dirompente. Le mine venivano caricate da uno di loro, esperto di esplosivi (detto “fughin”), che calcolava la lunghezza delle micce in modo da ottenere la sequenza cronologica desiderata. Egli stesso accendeva le micce che facevano brillare le mine. Quando era tutto pronto veniva dato l’avviso con il suono di una tromba tipica da minatori, gli operai si allontanavano in posizione sicura.
     Terminate le esplosioni si attendeva che si diradasse il fumo, poi bisognava entrare con cautela, accertandosi che non fossero rimasti, sotto la volta, pezzi di roccia pericolanti.
     I frammenti di roccia che intralciavano l’avanzamento venivano rimossi (marinaggio o desgaggio) e caricati sui carrelli della linea ferrata quindi avviati alla discarica esterna. Quando la zona ritornava agibile, si iniziavano i fori per una nuova serie di mine.
     Alle mine venivano dati nomi dialettali particolari, secondo la posizione che avevano sul fronte dell’avanzamento. Le prime in alto in calotta erano le “bastarde di corona” (le prime ad esplodere), quelle della zona centrale erano chiamate ciullàn-e o bastarde centrali, mentre quelle piazzate sulla parte bassa del fronte erano dette rilevaggi (con la loro esplosione terminava la volata). Gli scoppi venivano contati, per accertarsi che tutte le mine fossero esplose.
     Secondo il metodo di attacco e le caratteristiche del terreno veniva sistemata l’armatura provvisoria di sostegno che generalmente era in legno oppure, in certi casi, quando le spinte del terreno erano elevate, era in acciaio.
     Mentre veniva preparata una nuova serie di mine (volata), i minatori e i manovali, che non operavano alle perforatrici, lavoravano a completare le dimensioni del traforo, richieste per la posa in opera del rivestimento di finitura. Ogni squadra aveva un ragazzo detto “bòcia” incaricato di fornire ai minatori acqua potabile e quant’altro da loro richiesto, era anche sua mansione portare i ferri dal fabbro per la riparazione delle punte forgiate a scalpello.


Minatori di Casoni pronti ad iniziare il turno di lavoro. Traforo del Sempione (1898 – 1905)

     Nonostante gli operai disponessero delle nuovissime perforatrici idrauliche e di dinamite per le mine, il traforo del Sempione fu soprattutto frutto del lavoro umano.
     Furono scavati oltre un milione di metri cubi di roccia e furono necessari centoventimila metri cubi di pietre squadrate per rivestire le pareti e la volta del tunnel principale.
     La galleria ferroviaria è stata una delle più grandi opere di ingegneria moderna, orgoglio di una generazione.
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