CRAC

I FERETI DI FONTANEGLI

Testamento del mag.co Bartolomeo Fereto
Bartolomeo, figlio di Francesco (n. 1513) fu esponente importante della famiglia dei Ferretti di Fontanegli, ricchi proprietari terrieri, produttori e commercianti di lane. Essi ebbero terreni e case a Fontanegli, Bavari e S. Siro di Struppa, in Genova furono possessori di case in contrada S. Donato.
Il capostipite della famiglia, di nome Filippo, fin dall´inizio del 1400, risiedeva a Genova. I suoi discendenti, negli anni successivi, ricoprirono diverse cariche pubbliche. Furono ascritti alla corporazione dei lanieri, due di loro fecero parte del consiglio degli Anziani e dell´ufficio dei Sindacatori.
La loro famiglia, nel 1482, vantava grandi ricchezze, in quell´anno Damiano con i figli Battista e Bartolomeo (nonno del Bartolomeo, qui testatore) presero in appalto dalla Repubblica di Genova la riscossione delle "avarie" della Val Bisogno, per cinque anni e per un totale di lire 500 mila.
Dal 1528 in poi essi appartennero alla nobiltà di Genova, così detta "nuova" o "popolare" e furono ascritti all´Albergo dei Grimaldi.
Francesco, padre di Bartolomeo, nel 1576 fece parte del Consiglio dei 400 e i suoi figli furono completamente inseriti nel Magnifico Patriziato genovese.
Il magnifico Bartolomeo, nell´aprile del 1595, giunto alla fine dei suoi giorni, fece chiamare il notaio Aurelio Campanella, amico di famiglia, e nella propria casa di san Donato gli dettò le sue ultime volontà che leggiamo nel seguente testamento.
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Nel nome del Signore così sia. Il mag.co Bartolomeo Fereto del fu d.no Francesco, da me notaio infrascritto pienamente conosciuto, giacente a letto, non di meno, per grazia di Dio, sano di mente, senso, parola ed intelletto e la sua buona e sana valida mente, è lecito stimare, gli permette ancora ugualmente di agire nel corpo del quale certamente seguirà la morte ad ora incerta.
Egli è timoroso del Divino Giudizio, di cui per ora si ignora totalmente il contenuto e di morire senza aver fatto testamento.
Perciò per mezzo del già citato testamento, senza scrivere, decide, dispone e ordina in ogni parte dei suoi beni.
Primo, quando l´anima sarà separata dal corpo sia essa raccomandata all´Altissimo Creatore di tutte le cose, al Padre, al figlio e allo Spirito Santo, alla Beata sempre Vergine e a tutte le celesti cure. Ordina che il suo cadavere sia sepolto nella chiesa della Beata Maria della Pace fuori le mura di Genova nella tomba dei suoi antenati.
Similmente ordinò e ordina che dopo la sua morte siano celebrate mille messe e una a San Gregorio per l´anima di lui stesso testatore, (le messe) devono essere celebrate da quei religiosi e nelle mille chiese che furono scelte e impegnate da suoi scritti, ai quali religiosi lasciò e lascia ciò tramite elemosina già fatta.
Similmente lasciò e lascia, per amore di Dio e per il bene suo, alla sottoscritta Santa Maria di Pammattone lire cinquanta di Genova.
Similmente altrettante lire cinquanta all´Ospedaletto dei malati incurabili di Genova.
Similmente altrettante lire cinquanta per la Confraternita del Santo Suffragio dei poveri della città di Genova e ciò per la salvezza dell´anima di lui stesso testatore.
Similmente egli stesso testatore desidera che la terra con casa abitata da lui sita in villa Fontanegli, podesteria del Bisagno, luogo detto "Il ristretto della villa", la quale confina di sopra con un campo degli eredi del fu d.no Baliano Raggi e del m.co Raffaele Raggi, da una parte e sotto la strada pubblica e dall´altra parte il fossato, e questi sono i veri confini.
Similmente un pezzo di terra sito in detta villa nominato "Lo xoncoro d´alto" che confina, di sopra e da un lato, con quelli della parentella degli Spallarossa, di sotto con la via pubblica e dall´altro lato il fossato già citato che confina con la terra detta "Lo ristretto". Questi sono i veri confini.
Similmente la terra seminativa e boschiva situata nella villa di Bavari, luogo chiamato "Le serre", esse indicate anche con altri sottonomi hanno diversi confinanti, così conservate da sempre, dagli stessi testatori, nelle passate discendenze maschili della famiglia. Perciò egli stesso testatore ordinò e ordina che tutti i detti beni sopra menzionati, con i suoi abitanti non si possono mai vendere, alienare, permutare e ipotecare, ma che debbano essere posseduti e conservati dagli eredi suoi infrascritti e dai loro discendenti maschi, avuti da legittimo matrimonio.
Né i detti beni, in alcun modo, possono essere dati in dote a figlie o figliastre degli stessi testatori, né a discendenti da esse e minimamente possono essere compresi nella dote delle figlie di loro stessi testatori.
Similmente ordinò e ordina egli stesso testatore che la mag.ca Pelina (Pellegrina) sua moglie, figlia del fu mag.co Geronimo de Passalio (Passaggi) sia padrona e usufruttuaria, in sua vita e per quanto ella stessa vivrà, di tutti quanti i beni di lui stesso testatore.
Quanto sopra a condizione che ella stessa rimanga in abito vedovile ed abiti con i figli di lui stesso testatore, nel caso che lei non possa convivere con detti figli suoi ed abitare con essi, egli tastatore ordinò e ordina che alla detta d.na Pelina, in qualsiasi anno, siano pagate, in una unica soluzione, lire millecinquecento di Genova, ciò sia e alla detta d.na Pelina vadano e servano per gli alimenti dei suoi parenti e per il vitto suo.
In tal modo destinò e destina, come predetto, dote e alimenti e con particolare riguardo pone ipoteca sopra ai beni suoi (della Pelina), presenti e futuri.
Lui stesso testatore con particolare impegno non fa delega speciale come è consuetudine, quindi verso detta d.na Pelina pone ipoteca sulla casa con terreno di lui stesso testatore sita in contrada San Donato nella quale attualmente abita. - Sotto i suoi confini -
Dei rimanenti beni di lui testatore, sia singoli che plurimi, mobili e immobili, registrati o da registrare, sia al presente che al futuro, in qualsiasi modo e in qualsiasi maniera spettanti a detto testatore, dovranno appartenere per diritto di legge, in qualunque momento, ai discendenti che li conserveranno sempre come è stato sopra lasciato predisposto.
Egli vuole ed istituisce i suoi eredi universali e con sue proprie parole, nominò e nomina Francesco, Geronimo e Stefano Fereti, suoi figli legittimi naturali, fra loro in parti uguali, inoltre esecutori del presente testamento e delle ultime volontà, i tutori e curatori "pro tempore" dell´educazione delle figlie, dispone per esse e vuole: detta d.na Pelina sua moglie e i suoi detti figli Francesco, Geronimo e Stefano.
Due di essi, in assenza degli altri due, possono intervenire e decidere, pur tuttavia sempre nei loro limiti. La detta d.na Pelina può fare qualsiasi cosa ed amministrare da padrona e fare ciò che non ha ancora fatto, per grazia di Dio, senza alcuna spesa, sottoscrivere legalmente per unire i beni dei suoi parenti con quelli di lui testatore. Ella può sollecitare i creditori, adempiere ai lasciti, fare quanto poteva fare lui stesso testatore, così da vivere come al solito e tuttora con autorità e capacità e di ciò darne conto ai tutori come da accordi e in forma legale secondo l´ordinamento di Genova e con particolare attenzione, perché non si abbiano dei trascurati, né dei dimenticati o abbandonati, né (si abbia) la loro sottomissione e far eseguire il pagamento della loro parte di dote.
Nel caso di qualche erede maschio, lui stesso testatore, o di suoi figli maschi discendenti da legittimo matrimonio. Che abbia figlie e per il loro matrimonio non abbia possibilità di farle la dote, allora in tal caso la detta figlia da maritare abbia e debba avere (come dote) la quota a parte spettante a detto suo padre (dal fondo di famiglia) pari a cinque anni di fitto che sempre deve essere conservato per la dote delle figlie dei maschi discendenti da legittimo matrimonio, come sopra. Nel caso che detti suoi figli ed eredi infrascritti e discendenti suoi maschi muoiano o alcuno di loro muoia senza lasciare, dal suo legittimo matrimonio, figli maschi, ma rimangano soltanto figlie di legittimo matrimonio, in tal caso lui stesso testatore volle e vuole che dette figlie possano succedere ai detti loro padri nella loro quota a parte.
Sia rispettato, durante la loro vita, il godimento dell´usufrutto di dette parti e altrettanto sia portato rispetto per quei che sono morti. Quando esse estinte, l´usufrutto di detti beni, dato a loro in parte, come proprietà ed usufrutto, sia ridato e ritorni ai figli maschi, nati da legittimo matrimonio degli altri fratelli (cugini). 
Nel caso che qualcuno di loro stessi figli maschi deciderà di convertirsi a qualche monastero o religione, in questo caso egli non dovrà avere nulla, né potrà succedere nei beni sopra descritti e vincolati da lui stesso testatore, ma la parte che egli ha avuta e avrà dovrà ritornare agli altri maschi legittimi naturali, in forma comunitaria e non per singolo e per sempre sarà conservata dai loro discendenti maschi nati da legittimo matrimonio. Tuttavia spiacente, detti loro eredi e figli maschi discendenti maschi da legittimo matrimonio non possono né vorranno vendere, né alienare, o sotto altro titolo, disporre la cessione dei frutti della loro porzione per più di un anno, così che oltre il tempo predetto non andranno né insisteranno, ma in tal caso, sarà chiaro che non si potrà fare ciò, e tanto meno, i detti figli maschi, sopra citati discendenti, non potranno, fino all´età compiuta di venticinque anni, fra loro stessi, vendere, alienare in alcun modo le loro parti che gli sono pervenute di detti beni vincolati con i medesimi oneri, vincoli, obbligazioni e condizioni sopra citate e dichiarate. Quando qualcuno di loro stessi, contro la volontà dei suoi fratelli, contravverrà o tenterà di contravvenire in qualche modo, direttamente o indirettamente, le presenti sancite disposizioni, in tal caso, colui che contravverrà o tenterà di contravvenire gli sia tolta la sua parte ed essa dovrà andare agli altri suoi fratelli osservanti le regole, come d´altronde lui stesso testatore decretò che fossero imposte per i suoi figli.
In ogni modo gli accordi raggiunti possono e valgono sopra le parti.
Tuttavia lui stesso testatore, finche è in vita, potrà intervenire sulla regolamentazione per correggere, rimuovere e mutare aumentando o diminuendo e riformando essa, revocare, cancellare, annullare e decidere totalmente per tutti e per ogni cosa, secondo il suo punto di vista e a suo piacimento, sempre per tutti e per ogni cosa.
Similmente egli stesso testatore ordinò e ordina che i detti suoi figli ed eredi infrascritti non possono né vogliono, né a loro sia lecito fare, tra di loro, alcuna divisione dei beni di lui stesso testatore, mobili e immobili, prima di dieci anni prossimi a venire incominciando da oggi, ma altresì, durante il decennio predetto, dovranno vivere in comunione e in pace.
Similmente egli stesso testatore ha quattro figlie naturali da maritare: Maddalena, Pelota (Maria), Benedetta e atonia che desidera dotare e staccare dai suoi beni le loro doti, pertanto dotò e dota dette: Maddalena, Pelota, Benedetta e Atonia di quella somma tratta dai suoi beni pari a quanto egli stesso diede e pagò come dote in sua parte a sua figlia Barbara, maritata al mag.co Matheo Canevaro e come sopra altrettanto lasciò e lascia alle dette altre figlie le loro doti che saranno date e pagate ad ognuna di loro che deciderà, per sua scelta, di maritarsi.
Il marito riceverà la parte spettante di dote purchè egli sia moralmente a posto e il matrimonio sia celebrato con il consenso dei tutori della figlia (sposa) o da una parte di essi.
Nel caso che alcuna di esse, di sua iniziativa, senza il consenso dei tutori o parte di essi, come sopra, si mariterà,in tal caso particolare di matrimonio con l´unica sua volontà, come sopra e in tal caso, il testatore lasciò e lascia, come sua dote, la metà di quanto per essa è previsto sopra.
Nel caso che qualcuna di loro voglia farsi monaca, in tal caso coloro che si faranno suore per loro volontà (il testatore) lasciò e lascia, allo stesso modo, le loro solite doti, (ad ognuna) più o meno, pari a tremila lire, pagate per intero in qualsiasi luogo, di questo si occuperanno i detti suoi fidi commissari ed in più cinquanta lire, per il loro caro vita, siano date e pagate dai loro propri (familiari) al monastero e che esse servano per i loro vestiti.
Esse possono, nell´unico anno (di noviziato), occuparsi di avere ed eseguire quanto sopra e sfruttare ciò rispettivamente da sole, senza la collaborazione del loro superiore, perché così è la volontà di lui stesso testatore. Egli vuole e infine ordina che dette figlie, finche rimangono in casa o sono monache altrove, debbano essere governate e vestite attingendo dai beni di lui stesso testatore che da parte sua provvederà, in qualche modo, per le cure, gli alimenti, il mantenimento e il vestiario tramite fideiussione senza badare a spese.
Egli ordinò pure che quello dei suoi figli che, in sua morte, sarà nel governo della città di Genova abbia, dai predetti non presenti, poteri e facoltà a lui solo attribuite come segue:
egli avrà facoltà di chiamare in causa i debitori, riscuotere e quietanzare i crediti, accusare civilmente e penalmente qualsiasi danneggiatore dei suoi beni terrieri, preparare e seguire le cause, dare ed ottenere licenze, locare beni immobili e concederli in locazione o affittarli e, durante tale tempo, riscuotere e ristabilire l´affitto annuo con i fittavoli, quietanzare e chiudere le differenze, comporre, transigere ed accordarsi sulle controversie e sui prodotti raccolti, scoprire e ricuperare nuove sorgenti d´acqua, di queste ottenere la licenza, fare le opere di presa e la canalizzazione che saranno opportune e necessarie.
Per tutte le contese (liti), generalmente, porre tutto per scritto o scritti, come ha sempre fatto lui testatore quando era in vita. E che il potere e la facoltà abbia a perdurare come al presente e nello stesso modo,ed in seguito, i suoi figli e figlie possano accedere alle cariche amministrative della città di Genova.
Ed ecco la sua ultima volontà che cancella a posteriori tutte le volontà testamentarie già dette a suo tempo e raccolte, da molti anni, negli atti del fu notaio D. Agostino Campanella.
Da me Aurelio Campanella, notaio fatto in Genova in stanza da letto in casa Arata, abitualmente abitazione del suddetto Bartolomeo testatore, sita in contrada san Donato, anno della natività del Signore MDLXXXXV (1595), indizione settima secundum Januae cursum, giorno di martedì undici, mese di aprile, circa alle ore due di notte. Nella stessa stanza da letto, illuminata da un lume a tubo, sono presenti i validi testimoni: Giorgio Raggio del fu Angelo, copista della Camera dei Censori, Domenico de Martinetti decoratore figlio di Battista, Lorenzo Carrega fornaio del fu Andrea, m.co Nicolao Ponsono (Ponzone) del fu m.co Andrea, Jo. Simone Campanella figlio di me notaio. Testi inizialmente chiamati e interrogati.
Testo tradotto dell´originale documento manoscritto in latino su dieci fogli, con grafia abbastanza chiara, conservato presso l´Archivio di Stato di Genova - Notai Antichi - A. Campanella n° 3684 

Il magnifico Bartolomeo Fereto quando morì fu sepolto, come aveva lasciato scritto, nella chiesa dedicata a S. Maria della Pace che si trovava fuori le mura di Genova, presso Porta degli Archi, tra le attuali vie I. Frugoni e A. M. Maragliano.
Nostra Signora della Pace fu abbattuta alla fine dell´800 quando venne tracciata via XX Settembre.
Il testamento del mag.co Bartolomeo è coerente con un mondo socio-politico dei primi secoli dell´età moderna, al quale erano legate le più prestigiose parentele contadine dell´entroterra genovese. I Ferretti di Fontanegli appartenevano a questo mondo. Essi, con la loro ascesa economica e i legami matrimoniali, erano arrivati, nel 1528, a far parte della nuova nobiltà di Genova, pur tuttavia rimasero ligi agli antichi principi con i quali governavano da secoli le loro famiglie. Il patrimonio terriero non doveva essere diviso ed era destinato in eredità ai soli figli maschi avuti da legittimo matrimonio.
Uno solo di essi era eletto notabile (principale o maggiorente) per volontà testamentaria del padre, con pieni poteri esecutivi su tutto il patrimonio familiare, la sua posizione esigeva il rispetto di tutta la parentela, secondo un rigido sistema patriarcale, egli era arbitro e pacificatore di tutte le controversie.
La dote delle figlie maritate non doveva minimamente intaccare i beni immobili; la famiglia doveva mantenersi unita; il patrimonio doveva essere sempre incrementato, difeso e migliorato.
L´accumulo di terre non aveva soltanto un significato economico come base di sussistenza familiare, ma era fonte di prestigio, necessario per poter creare legami ed alleanze nella cerchia cittadina detentrice del potere.
Il mag.co Bartolomeo in vita fu munifico benefattore verso le istituzioni sociali ed ecclesiastiche, ma nel tempo stesso, fu altrettanto severamente ligio ai principi succitati.
Egli non si fece scrupolo di abusare della propria autorità pur di raggiungere i suoi scopi.
Con tale concetto, sottrasse il patrimonio ai componenti di un ramo della sua famiglia che non avevano rispettato le regole; con una controversia che durò oltre dieci anni, li spogliò completamente dei loro beni e li tolse anche la libertà, sempre nel nome degli antichi sacrosanti principi.
Il testamento del nobile Bartolomeo ha un valore storico, esso ci fa conoscere chiaramente come venivano applicate le regole severe poste alla base dell´ordinamento delle "parentelle". 

Guido Ferretti: "Raccolta di notizie storiche"